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Zulu

Leader

Scizia
Abilità esclusiva

Popolo della steppa

Ogni volta che addestri un'unità di Cavalleria leggera o un Arciere Saka a cavallo ricevi una seconda unità identica.

Contesto storico
Quella degli sciti era una confederazione (non molto stretta) di pastori nomadi analfabeti che si aggirarono nelle steppe dell'Asia centrale per un millennio circa. Le nostre conoscenza derivano quasi esclusivamente dagli scritti di un pugno di storici antichi come il greco Erodoto e il greco-romano Strabone, nonché da qualche testo indiano... non molto, in effetti. Al picco del loro potere, gli sciti dominavano sull'intera steppa pontico-caspica e oltre, in pratica dall'odierna Ucraina fino ai confini della Manciuria. Controllarono i territori della Via della seta, si arricchirono con il commercio degli schiavi, svilupparono uno stile artistico molto particolare e lasciarono in eredità qualche leggenda di centauri e amazzoni... ma poco altro.

Gli storici moderni hanno notato che il termine "sciti" è stato usato dagli antichi per riferirsi a una vasta gamma di guerrieri a cavallo delle steppe, che non avevano nulla in comune se non lo stile di vita generale e qualche elemento del linguaggio. Erodoto afferma che gli sciti erano originari delle steppe orientali, dove facevano la guerra ai vicini massageti, ma "con poco successo". Per questo motivo le tribù scite sarebbero migrate a ovest, attraversando il fiume Aras e scacciando, nel giro di 30 anni, i locali cimmeri (che a loro volta si spostarono in Assiria, devastandola non poco). Provetti cavallerizzi e abili arcieri, gli sciti dilagarono nella regione e cominciarono a occupare piacevolmente il tempo saccheggiando gli insediamenti macedoni e persiani.

Dopo qualche decennio, nel 530 a.C. il re persiano Ciro il Grande inviò un'offerta di matrimonio alla comandante dell'orda scita-massageta, una certa Tomiri. Quando questa rifiutò la sua proposta, Ciro radunò un esercito sul fiume Syr Darya e cominciò a costruire delle barche. Tomiri gli chiese di interrompere l'operazione, offrendogli di incontrarsi "in onorevole battaglia" in un luogo situato a un giorno di marcia dal fiume, in campo aperto (senza dubbio perfetto per le manovre dei guerrieri a cavallo). Ciro accettò e si allontanò dal campo con le sue truppe migliori, ma avendo sentito dire che il nemico non aveva familiarità con gli effetti inebrianti del vino, lasciò dietro di sé un piccolo contingente a guardia di una grande quantità di alcol. La forza principale degli sciti, comandata dal figlio di Tomiri, Spargapise, catturò il campo, si ubriacò per bene e venne sconfitta da Ciro, che era rimasto in agguato: Spargapise si suicidò per l'onta. Ricevendo notizia della disfatta, Tomiri dichiarò la tattica "non onorevole" e condusse una seconda ondata di guerrieri contro i persiani. Nella mischia che ne seguì, Ciro fu ucciso e il suo esercito messo in rotta. Tomiri ordinò che il corpo del re persiano le venisse portato e, dopo averlo decapitato, immerse la sua testa in un otre pieno di sangue come simbolica vendetta. Questo almeno è il racconto di Erodoto: nella realtà è possibile che le cose si siano svolte in modo un po' meno pittoresco.

Nel 513 a.C. i persiani, decisamente irritati e comandati da Dario il Grande in persona, invasero ancora una volta le terre degli sciti con un enorme esercito di 700.000 uomini (o almeno così sostengono le fonti). Approfittando dei vasti spazi a disposizione e della loro mobilità gli sciti, che non avevano campi o città da difendere, evitarono saggiamente di dar battaglia. I cavalieri si limitarono semplicemente a tormentare la colonna che avanzava lentamente, attaccando gli sbandati e i carri di rifornimento che restavano isolati. Erodoto riporta che a un certo punto una grande armata di sciti si era finalmente schierata per dare battaglia, ma improvvisamente si udì un gran grido e i loro ranghi si ruppero perché i guerrieri si erano lanciati all'inseguimento di alcune lepri. Secondo la narrazione Dario avrebbe commentato: "questi uomini ci disprezzano profondamente". Il ponderoso esercito di Dario, un po' ridotto nei numeri, raggiunse finalmente il Volga. A corto di cibo e rifornimenti, il re frustrato fece dietrofront e tornò nel suo impero senza aver risolto nulla. Gli sciti continuarono a divertirsi con le loro scorribande di frontiera.

Dalle prove archeologiche rinvenute nei grandi complessi funerari chiamati Kurgan (le uniche strutture permanenti mai costruite dagli sciti), sembra che intorno al 470 a.C. il capo Ariapeite (ma questo è il suo soprannome greco: il suo vero nome è sconosciuto) sia riuscito a riunire molte tribù e a proclamarsi "re degli sciti". I suoi successori governarono la confederazione fino al 340 a.C. circa, quando la dinastia fu rovesciata dal grande Atea (un altro nome greco). Secondo Strabone, dopo aver unito tutte le tribù scite tra il Danubio e le paludi della Meozia, Atea si trovò in conflitto con Filippo II di Macedonia; nella guerra che ne seguì fu ucciso in battaglia nel 339 a.C. (ormai novantenne) e il suo "impero" andò in pezzi. Un decennio dopo, tuttavia, il figlio di Filippo Alessandro stava nuovamente combattendo contro gli sciti, se è vero che riportò una vittoria "decisiva" sul fiume Syr Darya che pose fine ai loro saccheggi lungo le frontiere, in modo che i greci potessero marciare verso sud a coprirsi di gloria. In seguito, i celti in espansione scacciarono gli sciti dai Balcani. Evidentemente, sulle montagne, i guerrieri a cavallo non si trovavano altrettanto bene che nelle steppe.

Nel frattempo, un gruppo di tribù scite al comando del capo Maues (note col nome di indo-sciti) migrò verso sud-est nelle zone della Battria, della Sogdiana e dell'Arachosia. Al tempo di Azes II, intorno al 35 a.C., avevano ormai sostituito quasi completamente gli indo-greci nelle odierne regioni del Punjab e del Kashmir. Tuttavia, per quello che sappiamo Azes fu l'ultimo sovrano indo-scita: infatti, subito dopo la sua morte, il suo popolo fu travolto dall'impero Kusana. In seguito i Parti invasero la regione e degli sciti non si seppe più nulla.

Più a ovest, nelle steppe delle odierne Crimea e Ucraina, le altre tribù scite sopravvissero per altri tre secoli senza particolari cambiamenti, cavalcando e saccheggiando. In alcuni casi fondarono anche insediamenti stanziali: la città nota come Neapolis scita (vicino all'odierna Sinferopoli) servì da snodo commerciale per le tribù della Crimea. Ma l'espansione dell'impero di Roma era destinata a segnare la fine degli sciti. I goti scacciarono i sarmati dalla frontiera romana, e a loro volta questi travolsero gli sciti, anche se più di una conquista si trattò di un'assimilazione. In ogni caso, a metà del III secolo d.C. i goti saccheggiarono la Neapolis scita, ponendo fine ufficialmente alla loro civiltà (anche se greci e romani mantennero la fastidiosa abitudine di chiamare "sciti" qualsiasi popolo nomade delle steppe: Prisco, un emissario di Bisanzio, arrivò a definire tali persino gli unni di Attila!)

Così gli sciti scomparvero dalla storia, lasciando come testimonianza del loro passaggio solo qualche cumulo di terra smossa nella steppa. Questi tumuli, da piccole collinette per i guerrieri comuni fino ai kurgan "reali" di capitani e grandi condottieri, non erano semplici mucchi di terra impilati sui corpi: erano formati da più strati di terra erbosa disposti sopra una camera centrale, in modo che i molti cavalli seppelliti insieme al defunto potessero brucare anche nell'aldilà. In uno di questi kurgan gli archeologi hanno trovato più di 400 scheletri di cavalli, disposti secondo un ordinato schema geometrico intorno al guerriero defunto. E quando moriva uno scita importante, il dubbio onore di accompagnarlo nell'oltretomba non ricadeva solo sulle sue cavalcature, ma anche su consorti e seguaci. Il kurgan più grande mai rinvenuto è alto come un palazzo di sei piani e ha una base ampia più di 90 metri: una bella opera di ingegneria, per un mucchio di barbari a cavallo.

Erodoto racconta che i seppellimenti erano un evento spettacolare. I guerrieri in lutto si trafiggevano la mano sinistra con una freccia (non erano certo così folli da mutilarsi la mano con cui dovevano tirare con l'arco), si praticavano sfregi sulle braccia e sul petto e in certi casi si tagliavano addirittura un pezzo di orecchio. Un anno dopo, nell'anniversario della sepoltura, per alcuni capitani venivano uccisi e sventrati 50 cavalli e altrettanti schiavi, che erano poi impalati e disposti tutt'attorno al kurgan, con gli schiavi in groppa ai cavalli stessi. Simili ostentazioni hanno probabilmente costituito la base, o quantomeno hanno dato un forte contributo, alla leggenda greca delle Amazzoni. Molti di questi tumuli, anche uno su cinque lungo il corso dei fiumi Don e Volga, contengono donne vestite in armatura e munite di archi e spade "come se fossero uomini". Non saranno state proprio le Amazzoni, ma sembra che nella cultura scita ci fosse posto per le donne guerriere, come dimostra la storia di Tomiri.

I guerrieri sciti dovevano essere feroci come pochi, perché i resoconti dei vicini più "civilizzati" li dipingono con toni orripilati. Barbuti e tatuati, gli arcieri a cavallo erano armati con un arco corto composito e usavano frecce uncinate in modo che le ferite inflitte non si rimarginassero. Inoltre intingevano le punte in un miscuglio di veleno di serpente, sangue putrefatto e sterco di cavallo per assicurarsi la rapida morte delle loro vittime. Secondo le cronache, dopo la battaglia gli sciti avrebbero bevuto il sangue dei nemici uccisi per poi decapitarli onde reclamare il bottino; infatti solo chi presentava un simile, cruento "biglietto" avrebbe ottenuto la sua parte. Mentre il primo comportamento (bere il sangue) non era raro tra i popoli non civilizzati, il secondo rappresenta certamente un modo unico di dimostrare il proprio valore in combattimento. Briglie, scudi e faretre erano adornate con gli scalpi dei nemici uccisi; i teschi degli avversari particolarmente valorosi venivano dorati e usati come preziosi calici per bere.

Gli sciti evocavano un tale terrore nei greci che si pensa che abbiano ispirato il mito dei centauri, quadrupedi bestiali che erano anche formidabili arcieri. I guerrieri a cavallo erano così famosi che gli studiosi ritengono che il profeta biblico Geremia parlasse di loro quando avvertì gli israeliti dell'arrivo di guerrieri così descritti: "...sono crudeli, senza pietà. Il loro clamore è quello di un mare agitato e montano cavalli, pronti come un sol uomo alla battaglia". A questo proposito, gli sciti avevano un pantheon di dèi, ma non sembra che fossero particolarmente devoti. Le asserzioni delle loro divinità, a quanto pare, erano considerate più come linee guida da interpretare in modo flessibile piuttosto che come leggi scritte sulla pietra.

Naturalmente, dopo una battaglia non era solo questione di scalpi e teschi: c'era anche il bottino. Gli sciti acquisivano oro e argento nelle loro frequenti scorribande contro persiani e macedoni, oltre che in cambio di schiavi. Gli artigiani sciti avevano un buon occhio, in particolare per le rappresentazioni di animali: lupi, cervi, grifoni, leopardi, aquile e naturalmente cavalli, spesso impegnati in mortali combattimenti. Animali di ogni sorta compaiono sulla maggior parte dei loro manufatti, che siano porcellane, oggetti di bronzo, idoli o altro. Bestie in combattimento o a riposo appaiono frequentemente anche nella pletora di spille, cinture, elmi, orecchini, collane, monili e altri oggetti trovati nei kurgan.

Le ragioni del declino e della scomparsa degli sciti sono oggetto di molte teorie. Alcuni accademici suggeriscono che abbiano cominciato a sistemarsi in luoghi fissi e sposarsi con gli abitanti dell'area, abbandonando l'allevamento nomade e le scorribande. Alcuni kurgan risalenti alla fine del III secolo contengono delle stufe, simbolo della casa e del focolare: abbastanza da far rivoltare nella tomba un vero scita. Altre teorie propongono che siano stati obbligati a creare insediamenti fissi da siccità prolungate o epidemie equine. Altri ancora ipotizzano che l'amore degli sciti per l'alcol (ricordate Spargapise?) abbia contribuito alla loro fine: i pascoli, infatti, sarebbero stati convertiti alla coltivazione di cereali.

Comunque sia andata, non si può negare che nel loro periodo d'oro gli sciti abbiano portato una sferzata di vita nella steppa, dando un esempio di barbarie sanguinaria che emuli successivi come sarmati, unni, mongoli, timuridi e cosacchi poterono solo sperare di eguagliare.
PortraitSquare
icon_civilization_scythia

Tratti caratteristici

Leader
icon_leader_tomyris
Tomiri
Unità speciali
icon_unit_scythian_horse_archer
Arciere Saka a cavallo
Infrastruttura speciale
icon_improvement_kurgan
Kurgan

Geografia & Dati sociali

Posizione
Asia
Dimensioni
Circa 994.000 kmq
Popolazione
Non si sa, si stima 40-50.000 al massimo
Capitale
Nessuna (l'unica città menzionata dalle cronache è la "Neapolis scita", distrutta dai goti nel III secolo d.C.)
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Tratti caratteristici

Leader
icon_leader_tomyris
Tomiri
Unità speciali
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Arciere Saka a cavallo
Infrastruttura speciale
icon_improvement_kurgan
Kurgan

Geografia & Dati sociali

Posizione
Asia
Dimensioni
Circa 994.000 kmq
Popolazione
Non si sa, si stima 40-50.000 al massimo
Capitale
Nessuna (l'unica città menzionata dalle cronache è la "Neapolis scita", distrutta dai goti nel III secolo d.C.)
Abilità esclusiva

Popolo della steppa

Ogni volta che addestri un'unità di Cavalleria leggera o un Arciere Saka a cavallo ricevi una seconda unità identica.

Contesto storico
Quella degli sciti era una confederazione (non molto stretta) di pastori nomadi analfabeti che si aggirarono nelle steppe dell'Asia centrale per un millennio circa. Le nostre conoscenza derivano quasi esclusivamente dagli scritti di un pugno di storici antichi come il greco Erodoto e il greco-romano Strabone, nonché da qualche testo indiano... non molto, in effetti. Al picco del loro potere, gli sciti dominavano sull'intera steppa pontico-caspica e oltre, in pratica dall'odierna Ucraina fino ai confini della Manciuria. Controllarono i territori della Via della seta, si arricchirono con il commercio degli schiavi, svilupparono uno stile artistico molto particolare e lasciarono in eredità qualche leggenda di centauri e amazzoni... ma poco altro.

Gli storici moderni hanno notato che il termine "sciti" è stato usato dagli antichi per riferirsi a una vasta gamma di guerrieri a cavallo delle steppe, che non avevano nulla in comune se non lo stile di vita generale e qualche elemento del linguaggio. Erodoto afferma che gli sciti erano originari delle steppe orientali, dove facevano la guerra ai vicini massageti, ma "con poco successo". Per questo motivo le tribù scite sarebbero migrate a ovest, attraversando il fiume Aras e scacciando, nel giro di 30 anni, i locali cimmeri (che a loro volta si spostarono in Assiria, devastandola non poco). Provetti cavallerizzi e abili arcieri, gli sciti dilagarono nella regione e cominciarono a occupare piacevolmente il tempo saccheggiando gli insediamenti macedoni e persiani.

Dopo qualche decennio, nel 530 a.C. il re persiano Ciro il Grande inviò un'offerta di matrimonio alla comandante dell'orda scita-massageta, una certa Tomiri. Quando questa rifiutò la sua proposta, Ciro radunò un esercito sul fiume Syr Darya e cominciò a costruire delle barche. Tomiri gli chiese di interrompere l'operazione, offrendogli di incontrarsi "in onorevole battaglia" in un luogo situato a un giorno di marcia dal fiume, in campo aperto (senza dubbio perfetto per le manovre dei guerrieri a cavallo). Ciro accettò e si allontanò dal campo con le sue truppe migliori, ma avendo sentito dire che il nemico non aveva familiarità con gli effetti inebrianti del vino, lasciò dietro di sé un piccolo contingente a guardia di una grande quantità di alcol. La forza principale degli sciti, comandata dal figlio di Tomiri, Spargapise, catturò il campo, si ubriacò per bene e venne sconfitta da Ciro, che era rimasto in agguato: Spargapise si suicidò per l'onta. Ricevendo notizia della disfatta, Tomiri dichiarò la tattica "non onorevole" e condusse una seconda ondata di guerrieri contro i persiani. Nella mischia che ne seguì, Ciro fu ucciso e il suo esercito messo in rotta. Tomiri ordinò che il corpo del re persiano le venisse portato e, dopo averlo decapitato, immerse la sua testa in un otre pieno di sangue come simbolica vendetta. Questo almeno è il racconto di Erodoto: nella realtà è possibile che le cose si siano svolte in modo un po' meno pittoresco.

Nel 513 a.C. i persiani, decisamente irritati e comandati da Dario il Grande in persona, invasero ancora una volta le terre degli sciti con un enorme esercito di 700.000 uomini (o almeno così sostengono le fonti). Approfittando dei vasti spazi a disposizione e della loro mobilità gli sciti, che non avevano campi o città da difendere, evitarono saggiamente di dar battaglia. I cavalieri si limitarono semplicemente a tormentare la colonna che avanzava lentamente, attaccando gli sbandati e i carri di rifornimento che restavano isolati. Erodoto riporta che a un certo punto una grande armata di sciti si era finalmente schierata per dare battaglia, ma improvvisamente si udì un gran grido e i loro ranghi si ruppero perché i guerrieri si erano lanciati all'inseguimento di alcune lepri. Secondo la narrazione Dario avrebbe commentato: "questi uomini ci disprezzano profondamente". Il ponderoso esercito di Dario, un po' ridotto nei numeri, raggiunse finalmente il Volga. A corto di cibo e rifornimenti, il re frustrato fece dietrofront e tornò nel suo impero senza aver risolto nulla. Gli sciti continuarono a divertirsi con le loro scorribande di frontiera.

Dalle prove archeologiche rinvenute nei grandi complessi funerari chiamati Kurgan (le uniche strutture permanenti mai costruite dagli sciti), sembra che intorno al 470 a.C. il capo Ariapeite (ma questo è il suo soprannome greco: il suo vero nome è sconosciuto) sia riuscito a riunire molte tribù e a proclamarsi "re degli sciti". I suoi successori governarono la confederazione fino al 340 a.C. circa, quando la dinastia fu rovesciata dal grande Atea (un altro nome greco). Secondo Strabone, dopo aver unito tutte le tribù scite tra il Danubio e le paludi della Meozia, Atea si trovò in conflitto con Filippo II di Macedonia; nella guerra che ne seguì fu ucciso in battaglia nel 339 a.C. (ormai novantenne) e il suo "impero" andò in pezzi. Un decennio dopo, tuttavia, il figlio di Filippo Alessandro stava nuovamente combattendo contro gli sciti, se è vero che riportò una vittoria "decisiva" sul fiume Syr Darya che pose fine ai loro saccheggi lungo le frontiere, in modo che i greci potessero marciare verso sud a coprirsi di gloria. In seguito, i celti in espansione scacciarono gli sciti dai Balcani. Evidentemente, sulle montagne, i guerrieri a cavallo non si trovavano altrettanto bene che nelle steppe.

Nel frattempo, un gruppo di tribù scite al comando del capo Maues (note col nome di indo-sciti) migrò verso sud-est nelle zone della Battria, della Sogdiana e dell'Arachosia. Al tempo di Azes II, intorno al 35 a.C., avevano ormai sostituito quasi completamente gli indo-greci nelle odierne regioni del Punjab e del Kashmir. Tuttavia, per quello che sappiamo Azes fu l'ultimo sovrano indo-scita: infatti, subito dopo la sua morte, il suo popolo fu travolto dall'impero Kusana. In seguito i Parti invasero la regione e degli sciti non si seppe più nulla.

Più a ovest, nelle steppe delle odierne Crimea e Ucraina, le altre tribù scite sopravvissero per altri tre secoli senza particolari cambiamenti, cavalcando e saccheggiando. In alcuni casi fondarono anche insediamenti stanziali: la città nota come Neapolis scita (vicino all'odierna Sinferopoli) servì da snodo commerciale per le tribù della Crimea. Ma l'espansione dell'impero di Roma era destinata a segnare la fine degli sciti. I goti scacciarono i sarmati dalla frontiera romana, e a loro volta questi travolsero gli sciti, anche se più di una conquista si trattò di un'assimilazione. In ogni caso, a metà del III secolo d.C. i goti saccheggiarono la Neapolis scita, ponendo fine ufficialmente alla loro civiltà (anche se greci e romani mantennero la fastidiosa abitudine di chiamare "sciti" qualsiasi popolo nomade delle steppe: Prisco, un emissario di Bisanzio, arrivò a definire tali persino gli unni di Attila!)

Così gli sciti scomparvero dalla storia, lasciando come testimonianza del loro passaggio solo qualche cumulo di terra smossa nella steppa. Questi tumuli, da piccole collinette per i guerrieri comuni fino ai kurgan "reali" di capitani e grandi condottieri, non erano semplici mucchi di terra impilati sui corpi: erano formati da più strati di terra erbosa disposti sopra una camera centrale, in modo che i molti cavalli seppelliti insieme al defunto potessero brucare anche nell'aldilà. In uno di questi kurgan gli archeologi hanno trovato più di 400 scheletri di cavalli, disposti secondo un ordinato schema geometrico intorno al guerriero defunto. E quando moriva uno scita importante, il dubbio onore di accompagnarlo nell'oltretomba non ricadeva solo sulle sue cavalcature, ma anche su consorti e seguaci. Il kurgan più grande mai rinvenuto è alto come un palazzo di sei piani e ha una base ampia più di 90 metri: una bella opera di ingegneria, per un mucchio di barbari a cavallo.

Erodoto racconta che i seppellimenti erano un evento spettacolare. I guerrieri in lutto si trafiggevano la mano sinistra con una freccia (non erano certo così folli da mutilarsi la mano con cui dovevano tirare con l'arco), si praticavano sfregi sulle braccia e sul petto e in certi casi si tagliavano addirittura un pezzo di orecchio. Un anno dopo, nell'anniversario della sepoltura, per alcuni capitani venivano uccisi e sventrati 50 cavalli e altrettanti schiavi, che erano poi impalati e disposti tutt'attorno al kurgan, con gli schiavi in groppa ai cavalli stessi. Simili ostentazioni hanno probabilmente costituito la base, o quantomeno hanno dato un forte contributo, alla leggenda greca delle Amazzoni. Molti di questi tumuli, anche uno su cinque lungo il corso dei fiumi Don e Volga, contengono donne vestite in armatura e munite di archi e spade "come se fossero uomini". Non saranno state proprio le Amazzoni, ma sembra che nella cultura scita ci fosse posto per le donne guerriere, come dimostra la storia di Tomiri.

I guerrieri sciti dovevano essere feroci come pochi, perché i resoconti dei vicini più "civilizzati" li dipingono con toni orripilati. Barbuti e tatuati, gli arcieri a cavallo erano armati con un arco corto composito e usavano frecce uncinate in modo che le ferite inflitte non si rimarginassero. Inoltre intingevano le punte in un miscuglio di veleno di serpente, sangue putrefatto e sterco di cavallo per assicurarsi la rapida morte delle loro vittime. Secondo le cronache, dopo la battaglia gli sciti avrebbero bevuto il sangue dei nemici uccisi per poi decapitarli onde reclamare il bottino; infatti solo chi presentava un simile, cruento "biglietto" avrebbe ottenuto la sua parte. Mentre il primo comportamento (bere il sangue) non era raro tra i popoli non civilizzati, il secondo rappresenta certamente un modo unico di dimostrare il proprio valore in combattimento. Briglie, scudi e faretre erano adornate con gli scalpi dei nemici uccisi; i teschi degli avversari particolarmente valorosi venivano dorati e usati come preziosi calici per bere.

Gli sciti evocavano un tale terrore nei greci che si pensa che abbiano ispirato il mito dei centauri, quadrupedi bestiali che erano anche formidabili arcieri. I guerrieri a cavallo erano così famosi che gli studiosi ritengono che il profeta biblico Geremia parlasse di loro quando avvertì gli israeliti dell'arrivo di guerrieri così descritti: "...sono crudeli, senza pietà. Il loro clamore è quello di un mare agitato e montano cavalli, pronti come un sol uomo alla battaglia". A questo proposito, gli sciti avevano un pantheon di dèi, ma non sembra che fossero particolarmente devoti. Le asserzioni delle loro divinità, a quanto pare, erano considerate più come linee guida da interpretare in modo flessibile piuttosto che come leggi scritte sulla pietra.

Naturalmente, dopo una battaglia non era solo questione di scalpi e teschi: c'era anche il bottino. Gli sciti acquisivano oro e argento nelle loro frequenti scorribande contro persiani e macedoni, oltre che in cambio di schiavi. Gli artigiani sciti avevano un buon occhio, in particolare per le rappresentazioni di animali: lupi, cervi, grifoni, leopardi, aquile e naturalmente cavalli, spesso impegnati in mortali combattimenti. Animali di ogni sorta compaiono sulla maggior parte dei loro manufatti, che siano porcellane, oggetti di bronzo, idoli o altro. Bestie in combattimento o a riposo appaiono frequentemente anche nella pletora di spille, cinture, elmi, orecchini, collane, monili e altri oggetti trovati nei kurgan.

Le ragioni del declino e della scomparsa degli sciti sono oggetto di molte teorie. Alcuni accademici suggeriscono che abbiano cominciato a sistemarsi in luoghi fissi e sposarsi con gli abitanti dell'area, abbandonando l'allevamento nomade e le scorribande. Alcuni kurgan risalenti alla fine del III secolo contengono delle stufe, simbolo della casa e del focolare: abbastanza da far rivoltare nella tomba un vero scita. Altre teorie propongono che siano stati obbligati a creare insediamenti fissi da siccità prolungate o epidemie equine. Altri ancora ipotizzano che l'amore degli sciti per l'alcol (ricordate Spargapise?) abbia contribuito alla loro fine: i pascoli, infatti, sarebbero stati convertiti alla coltivazione di cereali.

Comunque sia andata, non si può negare che nel loro periodo d'oro gli sciti abbiano portato una sferzata di vita nella steppa, dando un esempio di barbarie sanguinaria che emuli successivi come sarmati, unni, mongoli, timuridi e cosacchi poterono solo sperare di eguagliare.
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